In attesa
di superare le forche caudine del metal detector per immergermi nelle
raffinatezze dei pittori fiamminghi - in questi giorni ospitati nella Sala
Montalto - sosto, implotonato con un centinaio di turisti giapponesi,
russi e alpigiani, sulla piattaforma lignea che dalla biglietteria
conduce agli ingressi posteriori del Palazzo dei Normanni. Ad un tratto,
una raffica di clic mi fa sobbalzare. Percorro con lo sguardo la
direzione degli obiettivi e vedo cose che voi lettori non potreste
immaginare: nell'angolo meridionale del cinquecentesco Bastione San
Pietro, all'ombra dei centenari pini del giardino pensile, si erge una
costruzione color beige antico, con copertura (apparentemente "etrusca") in terracotta
ed una teoria di alette crystal white che nel chiudere le ampie finestre a
mo' di tapparelle lasciano fuoriuscire verso la Reggia un mozzicone di
"catuso" squincio. Tutti i presenti azzardano ipotesi sulle origini del
manufatto. Nella babele colgo l'opinione di un tirolese che
afferma trattarsi di opera composita che raccoglie, in un unicum
armonioso, culture e stili di quanti nei secoli in quel luogo trovarono
ricetto: Elimi, Greci, Fenici, Romani, Cartaginesi, Vandali, Ostrogoti,
Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli,
Austriaci, Borbonici, Savoiardi... ARSiliani.
A me - perfetto profano in materia di architettura, arte e storia di quel sito - sembra solo un obbrobrio d'oggidì che sta dove non dovrebbe stare. Lo skyline del bastione cinquecentesco, infatti, grida vendetta; mentre le mura normanne - palesemente fatte d'altra pasta - grondano lacrime di sconforto. Poi però - contagiato da cotanto massivo entusiasmo - in un moto di francescana umiltà, mi dico: "in fondo, in fondo chi sono io per giudicare?". E, impugnata la mia reflex lanzichenecca, immortalo (di squincio) quel pezzo di bellezza unica.
A me - perfetto profano in materia di architettura, arte e storia di quel sito - sembra solo un obbrobrio d'oggidì che sta dove non dovrebbe stare. Lo skyline del bastione cinquecentesco, infatti, grida vendetta; mentre le mura normanne - palesemente fatte d'altra pasta - grondano lacrime di sconforto. Poi però - contagiato da cotanto massivo entusiasmo - in un moto di francescana umiltà, mi dico: "in fondo, in fondo chi sono io per giudicare?". E, impugnata la mia reflex lanzichenecca, immortalo (di squincio) quel pezzo di bellezza unica.
Cuntu semiserio di Leo Sinzi
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