giovedì 10 maggio 2018

Ho visto cose che non potreste immaginare...


In attesa di superare le forche caudine del metal detector per immergermi nelle raffinatezze dei pittori fiamminghi - in questi giorni ospitati nella Sala Montalto - sosto, implotonato con un centinaio di turisti giapponesi, russi e alpigiani, sulla piattaforma lignea che dalla biglietteria conduce agli ingressi posteriori del Palazzo dei Normanni. Ad un tratto, una raffica di clic mi fa sobbalzare. Percorro con lo sguardo la direzione degli obiettivi e vedo cose che voi lettori non potreste immaginare: nell'angolo meridionale del  cinquecentesco Bastione San Pietro, all'ombra dei centenari pini del giardino pensile, si erge una costruzione color beige antico, con copertura (apparentemente "etrusca") in terracotta ed una teoria di alette crystal white che nel chiudere le ampie finestre a mo' di tapparelle lasciano fuoriuscire verso la Reggia un mozzicone di "catuso" squincio. Tutti i presenti azzardano ipotesi sulle origini del manufatto. Nella babele colgo l'opinione di un tirolese che afferma trattarsi di opera composita che raccoglie, in un unicum armonioso, culture e stili di quanti nei secoli in quel luogo trovarono ricetto: Elimi, Greci, Fenici, Romani, Cartaginesi, Vandali, Ostrogoti, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Austriaci, Borbonici, Savoiardi... ARSiliani.
A me - perfetto profano in materia di architettura, arte e storia di quel sito - sembra solo un obbrobrio d'oggidì che sta dove non dovrebbe stare. Lo skyline del bastione cinquecentesco, infatti, grida vendetta; mentre le mura normanne - palesemente fatte d'altra pasta - grondano lacrime di sconforto. Poi però - contagiato da cotanto massivo entusiasmo - in un moto di francescana umiltà, mi dico: "in fondo, in fondo chi sono io per giudicare?". E, impugnata la mia reflex lanzichenecca, immortalo (di squincio) quel pezzo di bellezza unica.

 


Cuntu semiserio di Leo Sinzi

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