venerdì 31 marzo 2017

Oppido Lucano


Oppido Lucano

Miti colline, "Sant'Antuono" in fiore
negli occhi tuoi ritornano. Radici:
profumo formidabile. Memoria.

Il pane molle di coriacea terra.
Il "verro" solo il giorno della festa.
Il nonno soffia il fuoco, batte il ferro.


È tutto dentro un quadro
nei tuoi occhi. Le lacrime
pennellano ricordi. 


Palmira si fa largo nella nebbia:
il Bràdano, la Murgia ed il Montrone.
L'aurora, al Belvedere, è così bella.
C'è musica sui merli del castello.



Esercizio di "personalizzazione" di Leo Sinzi/zio-silen. Come base: la pregevole poesia "Oppido" di Paolo_C pubblicata, in data 30/03/2017 sulla Vetrina del Club dei Poeti.
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Oppido

Il paese, esteso fiore
dei tuoi occhi, ritorna:
formidabile tra la terra odora
nel presente della memoria.
Il pane molle dalla pietra,
il porco della festa
ed il nonno che
il soffio dona al ferro.
Tutto lì come un quadro
che guardo dai tuoi occhi,
e se piangi si fa ricordo. 


Paolo_C 

Foto di Leo Sinzi/zio-silen

martedì 28 marzo 2017

Etnea



Etnea

Volo di rapace. Ellittico. Selvaggio.
Disvela il mio passaggio tra i roveti.
Declina il giorno l'agave. La roccia
calda d'orrore, mite al suo apparire
come la luna sul tetto di casa
come una voce di madre alla finestra.
Ma è pietra, solo pietra che abitiamo.



Esercizio di sintesi e personalizzazione di Leo Sinzi/zio-silen. Come base: la pregevole poesia "Etnea" di Willi pubblicata sulla Vetrina del  Club dei Poeti il 28/03/2017.
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Etnea
Non fu
il volo del rapace,
nel suo dispiegarsi
ellittico e selvaggio,
a disvelare brullo
il mio passo
e incerto
dentro l’acuto afrore
dei roveti;
né fu
il susseguirsi languido
delle calde ginestre,
e dell’agave
e delle rocce
e rocce, a declinare il giorno.
Fu mite l’orrore
al suo apparire,
come la luna sul tetto della casa,
come una dolce voce
di madre alla finestra.
Fu pietra,
solo pietra
ciò che abitammo.


Willi

 Foto di Fabiuss/zio-silen

sabato 25 marzo 2017

Migranti cu ll'ali


Migranti

Sali 'nta vucca
'N sognu truvatura

Cca pani duru

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Migranti cu ll'ali

Nègghi scurùsi.
Volu d'airùni bianchi:
sunnu migranti.
Cravaccànu draunàra
n cerca d'Africa.



Versi e foto di Leo Sinzi (zio-silen)



TRADUZIONE PER I NON SICULI

Migranti


Sale in bocca

Ricchezze in sogno  

Qui pane duro


Migranti con le ali

Nuvole scure.
Volo d'aironi bianchi:
sono migranti.
Cavalcano la coda del drago
in cerca d'Africa.


Per ascoltare queste poesie declamate dall'autore clicca:



PER NON DIMENTICARE LA LINGUA SICILIANA


venerdì 24 marzo 2017

Digiuno


Digiuno

Ho digiunato accanto a te:
ho atteso di respirare
sul tuo seno. Ho sperato
di trovare rifugio in un sì.

Ho digiunato
ingiallito dall’assenza
imbiancato dal dispiacere
annerito dal rimpianto.

Notti, notti e notti...
domande rivolte ai "non so"
ai "mal di testa"... "sono stanca"... "ho il ciclo"... "spegni la luce".

Masturbazione ieri, ieri l'altro
notti, notti e notti.
No, no e no, perché no è più facile di sì:
negazione di una carezza, di un bacio
di un sorriso.

Ho suonato il campanello: “…hai le chiavi? usale! “
Troppi sassi, ad arginare la passione.
Lo stagno non ha cerchi
non ha sguardi, non ha gesti.
 

"Buona notte!"

Ho spento quella cazzo di luce.




Esercizio di sintesi e personalizzazione di Leo Sinzi/zio-silen. Come base: la pregevole
poesia "Digiuno" di Federicosecondo pubblicata nella Vertina del Club dei Poeti il 23 marzo 2017
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Digiuno

Quanto ho digiunato accanto a te:
ho atteso, colmo d’ansia, di adagiare il mio respiro
sul tuo seno, stretto.
Ho sperato di trovar rifugio in un tuo sì.

Quanto ho digiunato accanto a te:
corpo ingiallito dall’assenza;
mente imbiancata dal non piacere;
delusa e offesa spontaneità.

Auto castrazione
nella costrizione di un’involuzione
notti di rimpianti
notti di domande rivolte e di risposte “non so”
notti di lacrime
notti di libri “…e spegni sta luce”
notti di masturbazioni
notti di
no mal di testa
no ciclo
no stanca
no sonno
no tardi
no domani mi devo alzare presto
no oggi non mi va …detto come se ieri e ieri l’altro
lo avessimo fatto a rotta di collo;
no a nastro;
no a ciclostile;
no, perché no è più facile di sì.
Negazione
di una carezza
di un tocco
di braccia aperte
di un bacio alla finestra
di un sorriso alla porta
trasformandolo in un mugugno
per aver suonato il campanello “…hai le chiavi? usale! “

Mai considerato come vero - tuo - mio - nostro - problema
non ti sei mai posta nessuna domanda
non mi hai posto nessuna domanda
troppi sassi, ad arginare la mia passione,
hai lanciato nello stagno
senza che questi formassero anelli, cerchi, fedi.
Un bacio, uno sguardo o un semplice “buna notte”
nulla di tutto ciò aveva dimora nei tuoi gesti.

…e così ho spento quella cazzo di luce!


 Federicosecondo


 Disegno a matita su cartoncino dello scultore Nunzio Di Pasquale

giovedì 23 marzo 2017

Stella del Nord


Stella del Nord

La mezzadria scorre,
la stelle del Nord alle spalle,
la notte è colma dell’infinito
della bellezza dei tuoi occhi.
Tempesta dentro noi
in una poesia maledetta.
Vorrei toccare la luna piena
ma ciò che stringo è il volante di un’Alfa
nera come il cavallo alato di un incubo.
Il V6 Busso squarcia la valle rimbombando
tra vitalità e mortalità.
Le Alpi brillano d’eleganza
mentre i miei sporchi e sfiniti jeans viaggiano
allontanandosi dalle stelle del Nord.
Vorrei toccare la luna piena, ma
il vino è finito, la benzina è agli sgoccioli
la lotta è perduta.



Esercizio di sintesi e personalizzazione di Leo Sinzi/zio-silen.
Come base: la pregevole poesia di Benedetto Borgo "Stella d'Albania"
pubblicata sulla Vetrina del  Club dei Poeti il 22/03/2017.
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Stella d'Albania

La mezzadria scorre,
la luce delle stelle del Nord alle spalle,
la notte è colma dell’infinito e della bellezza del ricordo dei tuoi occhi,
pensando alle lotte perdute ed ai sogni d’amore oscurati dalle onde
in tempesta dentro di noi,
viviamo in una poesia maledetta tentando di tenerci per mano,
vorrei toccare la luna piena con le mie mani stanche, tremolanti,
bramanti calore, dolcezza e felicità,
ma tutto ciò che stringo è il volante di un’Alfa Romeo nera
come il cavallo alato oscuro e gigantesco d’un incubo medievale,
il V6 Busso al limitatore squarcia solitario come la morte di Dio la valle incantata
rimbombando nei secoli il contrasto tra la genialità/vitalità e l’ira funesta della mortalità umana,
le Alpi di bianco vestite brillano d’eleganza e maestosità
contrastando i miei sporchi e sfiniti jeans,
è un viaggio non verso, ma d’allontanamento dalle stelle del Nord,
vorrei toccare la luna piena ma
il vino è finito, la benzina è agli sgoccioli,
la lotta è perduta,
l’unica certezza
è la tua
a
s

s



e





n








z


Benedetto Borgo



Foto di Fabiuss/zio-silen

martedì 21 marzo 2017

Tenerezza infinita


Tenerezza infinita

Esiste una tenerezza infinita
nasce invisibile
ti balza al viso, scava
nell’affidarsi a occhi nudi dimentica
la distanza che preme sul tempo

Esiste una tenerezza
oltre le decisioni terrene
il volto meno giovane
l’odiare, a conti fatti e disfatti
estremità infrante e nulla in mezzo

Esiste tra di noi
Cura in diluizioni millesimali
il riposare dei corpi
sotto le sue fronde



Versi di Elisa Ghione (Elysa) tratti dalla poesia "Esiste una tenerezza infinita"
pubblicata il 21-03-2017 nella Vetrina del Club dei Poeti.

Foto di Fabiuss - Leo Sinzi/zio-silen

domenica 19 marzo 2017

I versi sbrilluccicanti di Ganimede



Non fosse così fuori luogo
si potrebbe morire
guardando la terra lontana
la forra e la fame in sorvolo sul mastio
armare la struttura feudale di un bacio
arroccato su queste lunari fossette di Venere.

Eterne parabole e luci
di una schiena perfetta per l'arco del giorno
delineano vertebre
solchi a ogni frase.
Dove i gradini si contano come da piccoli
le dita scendono in piazza
volte a turbare il dolce declivio dei nervi.

La luna ci piove nel sangue
con la continuità della resa
nel catrame ramifica un salvacondotto
per nascite schiuse a filo di labbra.


Versi di Nadia Rizzardi (Ganimede) tratti dal componimento

"Come far scadere una poesia senza che si rompa." pubblicato 
sulla Vetrina del Club dei Poeti in data 16 Marzo 2017.

Foto di Leo Sinzi/zio-silen

giovedì 16 marzo 2017

Zorbi virdi


Zorbi virdi

Beddu Jardinu... crisci la gramigna
'n facci a culonna janca sbraca, alligna.
Cummògghia zazzamìti, tiraciàtu
'mpasturavàcchi vìsciti e minchiùni.
Serbi di Re Frustùni, lu scursùni.

'Ntrunàtu jornu e notti, iddu strammìa:
«'a ggenti àvi pitittu? Fantasia!
Cca l'affamatu sugnu sulu ju.
Cu sconza la mé tavula lu jsu
supra 'a cruci cchiù granni, vi l'inchiovu
ci levu li mutanni, poi l'affucu...»

e li mischìni allonganu lu sucu.
Lu fannu sì, cu vucca allippàta
'nghiuttennu zorbi virdi... 'ncilippati.

Versi di Leo Sinzi (zio-Silen)

Per ascoltare questa poesia declamata dal suo autore clicca:
https://www.youtube.com/watch?v=VbyaqgC4zo4

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Sorbe verdi

Bello il Giardino... cresce la gramigna
davanti alla colonna sbraca, alligna.
Nasconde gechi bigi, tirafiato
'mpastoiavacche viscidi e minchioni.
Servi di Re Frustone, lo "scorsone".

Sul trono giorno e notte, lui vaneggia:
«Il popolo è alla fame? Fantasia!
Qua l'affamato sono solo io.
Chi attenta alla mia tavola lo alzo
sulla croce più grande, ve l'inchiodo
gli levo le mutande, poi lo affogo...»

ed i vassalli allungano il sugo.
Lo fanno sì, con bocca impastata
inghiottendo sorbe verdi... sciroppate.


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*Tiraciàtu: "Gongilo". La leggenda narra che
il "succhiarespiro" - un lucertolone della famiglia
degli Scincidi - attratto dall'odore del latte materno,
entri nelle bocche dei neonati, soffocandoli.

'Mpasturavacchi: "Cervone". Secondo credenza
popolare è un serpente (famiglia dei Colubridi)
che adora il latte delle vacche, alle cui mammelle si
attacca risalendone le zampe e, conseguentemente,
impastoiandole.

Scursuni: "Frustone". Questo Serpente,
nella stagione degli amori, è particolarmente
irritabile, tanto da "frustare" con la coda
chiunque gli capiti a tiro. Sarà vero?


Versi di Leo Sinzi/zio-silen

Foto di Leo Sinzi/Fabiuss




PER NON DIMENTICARE LA LINGUA SICILIANA



sabato 11 marzo 2017

Partheope


Dea
prima che sorga il sole
che sia evidente l'aurora
sarà giusto forgiare le difese
e dare un abbraccio alle fiancate inaccessibili,
alle ali inutili.

Avvolgerai la coda intorno ai fianchi
per quel viaggio futuro occidentale.

Se premeranno i seni gonfi di latte
da sola Partheope ti nutrirai
in quel tratto di sentiero dove la notte
conduce.
E per molto ancora il tuo pianto
verrà udito.





Versi di jane, tratti dalla trilogia "Donne dannate ma insostituibili" 
pubblicata in data 08/03/2017 nella Vetrina del Club dei Poeti.

Foto di Leo Sinzi/zio-silen

giovedì 9 marzo 2017

A che punto è la notte?


A che punto è la notte?

A volte m’imbatto nelle notti
che accendono falò
sviano il sonno
ed io, tra perso e vinto,
giro la chiave
chiudo al nuovo giorno.

Annaspo, mi rivolto, m'arrovello
cerco una via d’uscita. Labirinto...
raggela il mio respiro. Sbatto, serro.
Devo dormire. Mille... mille e cento...
Bela l'ariete, il conto presenta:
occhi sbarrati, bruciano i pensieri
l'adrenalina scorre, urla, impazza.

Alzo bandiera bianca: assai molesta
garrisce al vento. Mi scoppia la testa...

Che dolce ticchettio! Scende la pioggia
il dormiveglia, adagio, lava via
mi porta fino al mare: culla immensa.
Saluto il sole, ecco... mi addormento.




Esercizio di sintesi e personalizzazione di Leo Sinzi/zio-silen. Come base: la pregevole poesia di Trimacassi, pubblicata il 9 Marzo 2017 nella Vetrina del Club dei Poeti.

 Foto di Leo Sinzi

venerdì 3 marzo 2017

Cuntu: "A bedda criatura"




Cuntu: 'A bedda criatura

C’era n’agrillu schettu a la marina
chi sinni stava strittu ntra l'irbuzza
cu l'autri agrilli e cu li bavalùcci.

Jurnata càura. Lu suli jancu
spaccava 'i petri e l’agrillu s'innìu

rittu a lu mari pi s’arrifriscàri. 
Supra la plaja c’iera 'nu munzèddu
di rina chi parìa ‘na muntagnola,
nto chirchirìddu un ciuffu d'erba sicca.
S'addummiscìu nill'ùmmira... pi picca.

Calàtu 'u suli, aisàu la testa e vitti,

'n pizzu a lu munti, ‘na gran miravigghia:
una criatura longa e fina, virdi
parìa n’agrillu. Nun sapìa sgriddàri
ma era bedda assai: cosa 'i taliàri.


Talìa uora talìa dumani, pinsava:
“m''a vulissi maritari”.

‘Ncuntrau 'nu papacchiellu amicu sou
chi vulava - runziannu - pa’ marina
e, spizzuliannu un cacu lieva arsura,
abbramava la bedda criatura.

“Ci vaiu eu”, fici ‘u papacchiellu,
e ciu`dicu c''a vuliti maritari.
 

Ô sprùnti arrivau n’autru armàlu
stranu, virdi, longu, cchiu` grossu
bruttu com’ ‘a fèri.  

'I du' cumpari eranu alluccùti.
L'armali virdi si misiru a ballari
s’atturcigghiavanu ri supra e sutta...

Ma la criatura bedda, a la finùta,
ô longu, stranu e grossu 'u mangiau tuttu.

“Mizzica...”, ci dissi l'agrillu
ô papacchiellu,
“faciemu a finta ri stari passannu”.
Accussì li minchiuni fujèru arràssu,

unu sautariannu, l’autru svulazzannu.



Esercizio poetico di Leo Sinzi/zio-silen ispirato e, in parte, tratto dal Racconto "La bella criatura"
di A.SAL.ONE aka SAL GEN pubblicato in data 3 Settembre 2015 nella Vetrina del Club dei Poeti. 
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 La bella criatura

“Menzu litru e ‘na gazzusa, Cuncittina!”

‘U zu` Peppi ‘U Scienziatu aveva declamato il suo piu` intimo desiderio quasi come
un’ affermazione perentoria di quella sua sete giornaliera che, a volte lo cullava,
a volte lo straziava fino alla periferia delle vene.

Alla locanda di Donna Mariuzza “si manciava piscistoccu ‘a ghiotta”, unico piatto su
un menu mai scritto, ma che aveva raggiunto una notorieta` quasi leggendaria sia in
contrada come fino ai piu` remoti angoli di quella lontana provincia della Sicilia.
Chi diceva fossero le olive, chi diceva "fussi ‘a chiappira ‘i Salina", fatto sta che,
una volta assaggiatolo, le papille gustative rimanevano affette da un senso di nostalgia
quasi perenne che portava le lingue della maggior parte dei camionisti e dei mulattieri
della regione a ripassare spesso da quella giocosa bettola.

Si beveva poi un vinello nero come l’inchiostro, prodotto localmente e che bisognava
allungare con la tipica gassosa Cucinotta:

‘O zu` Peppi ci piacia cosi`.

Per gli avventori meno discernenti e anche per risparmiare qualche lira sul prezzo
al dettaglio, Cumpari Tanu, oste per lo piu` onesto ma dalla tipica praticita` delle colline
sottostanti ai monti Peloritani, “u’ cunzava” con l’acqua “du’ Mirrizzu” che andava a
prendere con le “quattare”, i bidoni di plastica da dieci litri e la moto Guzzi Ercole
comprata di seconda mano.

Erano i tempi in cui nei locali chiusi si poteva ancora fumare e spesso agli odori della cucina
e a quelli della cantina si mescolava quello piu` acre e piu` direttamente visibile dei toscanelli
o quello piu` dolce delle pipe. Qualcuno riusciva a comprare anche un pacchetto di Nazionali
o di Sax, ma li fumava con parsimonia, per cui l’atmosfera rimaneva passabilmente respirabile.

Quel giorno mi trovai li`, non per caso, ma perche` mio padre mi ci aveva mandato per
comprare il vino, debitamente “cunzatu”,

"che` solo Cumpari Tanu sapeva farlo cosi`".

Riuscii a racimolare un passaggio da Vitu ‘U Filibusteri che ci andava spesso, contento
di poter avere l’occasione di rivedere Maria Concetta, per tutti Cuncittina.

Il caso volle che lei non ci fosse e, per chissa` quale verso della sorte, mentre Cumpari Tanu
mesceva il vino per metterlo poi nel bidone da dieci litri che gli avevo portato,
‘u zu` Peppi mi fece un cenno come per dire veni ‘cca. Fu cosi` che mi accostai al suo solito tavolo,
dove risiedevano gia` il mezzo litro e la gassosa in un piccolo boccale di vetro tra il pieno e il vuoto.

“Assiediti” mi disse, “ti vogliu diri ‘na cosa”.

Guardandomi tra il faceto e il curioso, sorseggiava con delizia.

“Chi cc’e` zu` Peppi?” gli domandai, cominciando a sentirmi in un certo qual modo a disagio.
Mi rispose offrendomi da bere, ma io rifiutai adducendo le solite scuse e apportando
i dovuti convenevoli . Intanto pero` cercavo di accomodarmi al meglio possibile su di una sedia
impagliata che aveva sicuramente fatto la conoscenza di centinaia di avventori ed era
ridotta a malpartito gia` da diverso tempo.

“Ti vogliu cuntari un cuntu, si hai tempu”

Gli dissi che ero certo di poter aspettare un’altra mezz’oretta per il mio prossimo passaggio
verso casa e mi misi il piu` comodo possibile per ascoltarlo, mentre notai nel suo volto illuminato
da un sorriso la soddisfazione di essersi assicurato una gradita compagnia. E cosi` comincio`,
in quel suo tipico idioma che cerchero` di riportare su queste pagine:


“Da chillu chi sacciu ieu, chillu chi ti cuntu succieri sempri, e sugnu siguru chi sta succidiendu
puru uora. C’era n’agrillu alla marina chi sinni stava ‘o frischicellu di l’irbuzza chi suoi
amici agrilli e bavalacci.

‘A iurnata era calda di suri chi spaccava ‘i piettri e l’ agrillu si ammucciau sutta la rina vicinu
‘u mmari, pi’ si rinfriscari. Diettru di illu c’iera un munziellu di rina, chi paria ‘na muntagna
e chi facija umbra. Supra ‘u munziellu un ciuffu di ierba quasi sicca.

Versu ‘a carata d’u ssuri, mentri facija cchiu` friscu, nisciju ‘a ttesta ‘i fuori e guardau
pi’ suvra. Visti ‘na ccosa miravigliosa: una criattura longa e fina, virdi, chi
pariva n’agrillu, ma ccu` savi chi era. L’agrilluzzu non visti mai ‘na ccosa cchiu` bella
e guarda uora e guarda dumani, pinsava:

“ma vurissi marittari”.

All’ indomani, l’agrilluzzu ‘ncuntrau un papacchiellu amigu suou chi vurava pa’ marina.
E cosi` insiemi, mentri si spizzuriavanu un pummuramuru lla` vicinu, guardavanu ‘lla
bella criatura.

“Ci vaiu ieu” ci dissi ‘u papacchiellu all’ agrillu e ciu` digu ieu che va vuriti marittari.
All’ amprovvisa pero` arrivau n’autru animari stranu, virdi, longu, cchiu` grossu e bruttu
com’ ‘a feri. Mentr’`i ddu’ amigi guardavanu miravigliadi, i ddu` animari virdi si misiru a ballari
e s’anturciniavanu forti forti, ma ‘a ccosa cchiu` incridibbiri fu chi la bella criatura finiu chi
s’`u mangiau tuttu, sanu sanu, all’animari stranu.

“Mizziga” ci dissi agrillu ‘o papacchiellu “esti megliu sinni facimmu l’affari nostri” e cosi`,
unu saturiandu e l’autru svulazzandu, scapparu cchiu` ‘nla`”.


Finito di raccontare, ‘u zu` Peppi bevve un lungo sorso dal suo boccale di vetro, poi lo riempi`
di nuovo della sua mescita preferita e mi guardo` diritto negli occhi, mentre sul suo viso sembrava
apparire un sorrisetto malizioso. Mi disse poi, in italiano scelto:

“A buon intenditore, poche parole.”

Mentre non riuscivo ancora a capire cosa intendesse dire, rivolsi gli occhi verso l’entrata dell’osteria
che era aperta, ma a cui c’era attaccata una tenda con lunghi pendagli in metallo attorcigliato
come fossero fusilli. Nell’aprirla, la tenda emetteva un rumore ovattato, ma abbastanza metallico
da fare girare ogni avventore verso la porta.

Intravvidi cosi` le sembrianze di “Cuncittina” e, mentre cercavo di focalizzarne le prosperose forme
(non la vedevo ormai da alcuni mesi), m’accorsi della presenza, a lei contigua, di un personaggio
a me non noto, ma che sembrava avere acquisito il privilegio delle sue piu` intime confidenze.

Fu come una rivelazione e, quasi contemporaneamente, pensai al racconto del grilletto
e alle sue parole, d’un tratto divenute non solo sagge, ma addirittura profetiche:

“sara` meglio farci gli affari nostri”.

Il mio vino era pronto e l’amico Vito era ritornato per darmi il passaggio verso casa,
a questo punto non ebbi altra scelta che scappare irrimediabilmente dagli occhi verdi di Maria Concetta.

“Coppul’all’aria, zu` Peppi”.


Racconto breve di Sal Gen aka A.Sal.One