martedì 31 gennaio 2017

Occhi cerchiati di nero


Occhi cerchiati di nero

Occhi cerchiati di nero
pallore terreo, quasi emaciato

il viso d'educanda pinto a donna.
Rettangolo di stoffa sulle gambe
gracili. Passeggiava sulla via.
La vidi proprio lì, lo sguardo triste
andava su e giù. La primavera
di marzo... nebbia densa
sulla stazione della ferrovia.
La gonnellina azzurra - intirizzita -
e una maglietta bianca, senza giacca.
Un camion... montò sopra... ripartì.
Una signora anziana in quella strada
fece la sua comparsa, passeggiava
- i suoi collant colore rosso vivo -
anch'ella con la mini, l'occhio fondo
e i camionisti a turno: l'una e l'altra...
a soli pochi metri dal mio mondo.




Esercizio poetico di Leo Sinzi/zio-silen con incolonnamento di tratti del racconto "Un’ora di un tempo infinito" di Lisa Manelli, pubblicato  il 27 Gennaio 2017 nella Vetrina del Club dei Poeti.

Nella foto di Leo Sinzi un'opera dello scultore ragusano Nunzio Di Pasquale.


domenica 29 gennaio 2017

L'ignoto


L'ignoto

Quale riva ci attende?
Verdeggiante, ricoperta di fiori
o pietrosa e piena di spine?
Chi animerà i nostri giorni,
Amore?
Chi li renderà sabbiosi,
Solitudine?

Vago destino il nostro:
errare inutilmente
per raccogliere.
Cadono lacrime
sulle mani vuote.
Lo sguardo è immobile
su un orizzonte
che non ha limite,
Ignoto!

Quanta sofferenza arreca
l'incertezza del domani.



Versi di Melany

Foto di Leo Sinzi/zio-silen

sabato 28 gennaio 2017

Notte in campagna


Notte in campagna

Al calar della notte
strane figure
popolano la terra.

Arcane ombre
arcani silenzi
arcane voci.

Gli abitatori
del cielo
occhieggiano intimiditi.

Perfetta armonia
profonda pace
desiderio d'oblio...



Versi di Melany

Foto di zio-silen 

giovedì 26 gennaio 2017

Pietà


PIETÀ

Ha gli occhi pieni di pietà
l'uomo che incontra lo sguardo
di un cane
la sua espressione persa.
Crede sia il cane a implorargli pietà
invece è viceversa.


Versi di Pale Shelter 


Foto di Leo Sinzi/zio-silen

martedì 24 gennaio 2017

Grane

 
Grane*

Il vento porta dove non siamo.
Ispira vite il Crepuscolo

scrive destini
in questa grotta.
 

Gli Asi di Odino tessono
guerre in mari di sangue
muoiono draghi.
 

Bruciate, dèi.
Bruciate la fine!
Incendiate il nuovo inizio!
 

Cavalco la pira di fuoco
navigo il nostro amore
su ali di mandrie divine.
 

Mio dolce sogno
l'anello ormai è colmo

di brace.



*"Grane - discendente del destriero di Odino - è il cavallo di Brunilde
sul quale la Valchiria cavalcò la pira di fuoco immolandosi, dopo la morte
dell'amato Sigfrido, agli dèi del crepuscolo che scrivevano il destino dell'umanità".
                                                                                                          P.D.M.


Esercizio di personalizzazione di Leo Sinzi/zio-silen. 
Come base: la pregevole poesia "Grane" di Paolo De Martini (Dema)
pubblicata sulla Vetrina del  Club dei Poeti il 23/01/2017.
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Grane

Il vento
mi porta dove non
ci siamo mai abbracciati
il Crepuscolo
ispira la mia vita,
scrivendo il tuo destino
in questa grotta.
Guerre,
tessono Asi
e in mari di sangue
muoiono i draghi.
Bruciate dei,
bruciate la fine
e incendiate il nuovo inizio.
Cavalco
la pira di fuoco
navigando il nostro amore
sulle ali delle mandrie
del dio.
Mio dolce sogno,
l'anello è ormai
colmo di brace. 


Paolo De Martini (Dema)


Foto di Fabiuss. Elaborazione grafica di Leo Sinzi.

venerdì 20 gennaio 2017

Ascoltando Vivaldi














Ascoltando Vivaldi

                                                                             Primavera 
Quanta insolenza
questo sole negli occhi
ed io, veloce in bici
ancora verso te.                                                                  
                                                                               Estate  
Ogni passo accanto.                                   
Orme mie e tue
il mio seno pieno
crea amore 
attende. 
                                                                               Autunno 
Sospeso il sentire
quei fiori contano di più.
Ti leggo dentro
a volte ci si allontana
per cercare l’acqua. 
                                                                                Inverno
A terra sparsi mille fogli.
Pensieri, foto, mani tremanti
che vivono di loro
e la vita appare solo appannaggio
di chi soffre di gioventù. 
                                                                                Epilogo
Raccoglierò le mie stagioni
ne farò Ikebana in vaso di maiolica
osservando da lontano
sistemerò ogni fiore.


Versi di Elisa Ghione (Elysa)



Elaborazione immagine di zio-silen

giovedì 19 gennaio 2017

La primavera di Freddiman e Tumiz

 
La primavera di Freddiman e Tumiz

La sera al bar incontrò Roger
Freddiman, beveva scotch seduto sul sofà.
Lo salutò col capo, ed al bancone
chiese un bicchiere, gli sedette accanto.
"Va... con lo scotch?" gli domandò Tumiz.
Ci diamo dentro... e non voglio parlarne".
Col che, comunque, rispose alla domanda.
Un sorso al whiskey. Brindarono al passato.
"Fui un cretino... non averla ascoltata".
"Allora mi rinfreschi la memoria".
Svelò il montaggio ed il partecipato:
«la manipolazione
delle masse
e il caos dal potere fu creato». 
Azzardò pure una previsione:
"il nuovo, qui, non porta libertà
solo violenza... di essa morirà".

Zittirono studenti e l'intelletto
contro l'inganno rivoluzionario.
La primavera d'oro e di rispetto
andò a farsi fottere a dispetto
del grigio inverno

ch’era sempre stata.



Esercizio poetico di Leo Sinzi/zio-silen. Come base: il pregevole racconto breve di Zaina " Have you seen it?" pubblicato, il 17 Gennaio 2017, nella Vetrina del Club dei Poeti".
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Foto di Leo Sinzi

mercoledì 18 gennaio 2017

Vieni qui


Vieni qui
accendimi una sigaretta
non esistono domande né risposte. Credo
al calore delle tue labbra
alla tua pelle profumata di fiori
e latte

Sdraiti
abbracciami
guardami
riempimi il bicchiere un’altra volta
accendimi il cuore
spegnimi il cervello
fammi stare bene

Nudi
l'uno nell'altra. Il dolore
distanza incolmabile da te
guardarti senza crederti
mentre mi ami

Vieni qui
accendimi una sigaretta
passami il fumo dalla bocca
respira la mia anima



Esercizio di sintesi e personalizzazione di Leo Sinzi/zio-silen.
Come base: la pregevole poesia "Vieni qui" di Benedetto Borgo, pubblicata
sulla Vetrina del  Club dei Poeti il 16/01/2017.
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Vieni qui,
accendimi una sigaretta,
non esistono domande né risposte,
credo nel calore della tua bocca
alla tua pelle morbida
profumata di fiori e latte

vieni qui,
accendimi una sigaretta,
ti sdrai accanto,
mi abbracci e mi guardi con l’espressione più dolce,
non ti credo eppure lascio
scorrere i tuoi movimenti
davanti ai miei occhi

vieni qui,
accendimi una sigaretta,
e mi sforzo di dimenticare chi sei
e mi sforzo di smettere di pensare,
lascio il bicchiere della felicità
riempirsi un’altra volta

lascio continuare il gioco
rispettando la regola fondamentale,
la non detta,
non dire mai l’evidente.

Vieni qui,
accendimi il cuore,
spegnimi il cervello,
fammi stare bene.

Vieni qui,
passami il fumo dalla bocca
lontani dal rancore e dal rimorso,

buio, penombra e calore,
a volte la felicità muta in malinconia
quando tutto è perfetto
e ciò che è adesso
non tornerà mai più.

Il fumo sale verso l’alto
come l’anima al suo ultimo passaggio,

vieni qui,
accendimi una sigaretta,
non ti credo ma abbiamo bisogno
di essere insieme,
nudi, sdraiati a respirare le nostre anime
il più vicini possibili,
l’uno dentro l’altra
pelle contro pelle mai abbastanza a contatto
fino a fondere i corpi
fissandoci negli occhi
abbandonandoci l’uno nell’altra.

Il dolore è la distanza incolmabile da te:
il guardarti senza crederti,
mentre mi ami.


Benedetto Borgo

Elaborazione grafica di Leo Sinzi/zio-silen

martedì 17 gennaio 2017

Treccia a destra


Notti insonni. Arpocrate, dio del silenzio (nella rappresentazione iconografica con treccia cadente sulla spalla destra), in visionaria visita di scortesia.
L'inquinamento acustico di prossimità amplifica la sensazione di rovina... rincara, avvolge e sconvolge.
Ermes è l'incarnazione del transito da uno stato all'altro (dalla vita alla morte, dal previtale al vitale...): nello specifico l'autore chiede al dio di trovare la pace della condizione fetale, mentre ad Afrodite - dea della fertilità e della generazione - domanda la rigenerazione salvifica.
Il tutto corredato di narrazione onomatopeica in chiave fumettistica.

Treccia a destra

Arpocrate tu raccapricci
al clackitty-clong subumano.
Ti volgi? No, no! Non andare.

Mi spengo. Su, dammi la mano!

                    Percuote il dlin dlon
                    (gragnuola malsana):
                    diurno sferraglio
                    notturne campane.

Dio Ermes pietoso
reinventami nel rito
del ventre. D'Afrodite
amniotico bel sito.

                    Inonda il bum bum
                    (strapiove dal tetto):
                    lucana avanguardia
                    d'ombrate trombette.

Ti prego, oh divino!
T’imploro, rimani!
Imbriglia il molesto...

Che sooooonno... a domani.



Versi e foto di Leo Sinzi 


PER ASCOLTARE QUESTA POESIA DECLAMATA DALL'AUTORE CLICCA:

martedì 10 gennaio 2017

Il buio oltre la notte


Il buio oltre la notte

Ho perso... 
ha perso pure il vecchio mondo
l’America s'è inginocchiata, ha scelto

ed il mattino ha la paura in bocca.

Fu musica, fu canto ed allegria. Oggi 

l'angoscia offerta a piene mani...
e rambo taglia il sogno americano 
(il buio oltre la notte) come il gambo
di rose che sono sbocciate invano.
 

"I have a dream" gridava Luther King
e John: "Things do not happen.Things 

are made to happen".
Pentagono d'estremi e di contrari
il resto sia triangolo nel mondo.
Arriveremo (chiedo) fino al fondo?
 

In tanti stanno lì a rimuginare
sul loro sogno inverso, capovolto:
si è fatto inverno. Là una voce nuova
rivivrà il mito ed altri eroi del West
la corsa all'oro e il Sogno splenderà
for me, for you... onirica realtà.



*Martin Luther King: "Io ho un sogno"
*John Fitzgerald Kennedy: "Le cose non succedono. Le cose vengono fatte succedere"


Esercizio di sintesi e personalizzazione di Leo Sinzi (zio-silen).
Come base: la pregevole poesia di Trimacassi, pubblicata il
10 Gennaio 2017 sulla Vetrina del Club dei Poeti.

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America, il buio oltre la notte?

Chissà se perso Obama
avremo perso pure il vecchio mondo…
L’America sembra caduta in basso
ha scelto ha scelto ed oggi fa paura

Dalle musiche, e i canti e l’allegria
avute a piene mani per decenni
si è passati a questa angoscia del mattino
dove hanno reciso il gambo delle rose
han tolto al giorno l’oro dalla bocca
ed han protratto il buio oltre la notte…
e il sogno ?- esiste ancora il sogno americano?
Potremo dormire ancor sonni tranquilli
certi della Grande America alle spalle?

Come sembrano lontani i tempi
in cui l’idea dilagava
del vecchio e amato sogno americano…
l’ I have a dream di Martin Luther King
le parlate appassionate di John Kennedy
l’atmosfera di sogno di speranza di futuro
che seppero impressionare il mondo
dentro e fuori l’America!

Obama e Clinton hanno frenato il mondo
avvicinando estremi
un po’ di morso e un poco di carota
ma oggi… che sarà quest’uomo biondo
inviso a più di mezzo mondo?
In tanti sono a piangere e gridare
sondaggi presi a calci e il sogno capovolto:
si è fatto inverno e non c’è panno caldo che riscaldi…
L’ America saprà tirarsi fuori- è tutto un coro!
Verranno fuori voci nuove, altri miti, altri eroi
gli americani eviteranno il peggio
inventeranno un altro West, un’altra corsa all’oro
e il Sogno tornerà splendente ancora…


Versi di Domenico Sergi (Trimacassi)

Foto di Fabiuss

giovedì 5 gennaio 2017

Il viola dei mirtilli


Il viola dei mirtilli

In soggettiva d'ordine mentale
ricordo, su ogni cosa, i miei mirtilli
selvatici tra pascoli e crinale.

Giornate d'un azzurro disarmante
(solo in montagna se ne può godere)
col cielo-mare riverso sul mondo.

Uno chalet di amici di famiglia
lampade ad olio, candele, il camino
acceso, mentre fuori il porticato
troneggiava, sprezzante, sopra il prato.

Ed ogni giorno lunghe passeggiate
con l'aria fredda. Incauto il pensiero
restava, nel suo nascere, gelato.

Un paio di chitarre ed un falò
canzoni d'oratorio nel bailamme
del vociare confuso di bambini.

Il prete (ma che spasso!) straparlava
più che da sobrio. In bettole arringava?

Colori puri: il verde, il blu. Il candore
del latte ed una mosca nel paiolo
a galla d'una favola imperfetta.

Finiva la vacanza: macchie d'erba
lentiggini sul naso, scatoline
di arachidi salate. Ed i mirtilli
riempivano di gioia. Dal finestrino
la mia montagna che correva via.



Esercizio poetico di Leo Sinzi (zio-silen) tratto dal racconto di Nadia Rizzardi (Ganimede)
pubblicato il 23 Novembre 2016 nella Vetrina del Club dei Poeti.
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Biografie in quota



Dell'infanzia si ricordano alcuni dettagli con straordinaria nitidezza. Sarebbe interessante capire se la tendenza a dividere quelli belli dagli spiacevoli, sia normale procedura o soggettiva propensione per l'ordine mentale.
Ricordo sopra ogni cosa i mirtilli selvatici, l'elemento decorativo di ogni giornata trascorsa sul limitare dei pascoli.
La casa di vacanze era uno chalet spartanamente rifinito, di proprietà di amici di famiglia. Niente elettricità o acqua corrente; a sera, serviva occasionalmente essere accompagnati nelle varie stanze, perché capitava che gli elementi di illuminazione scarseggiassero ma l'atmosfera era bella e calda.
C'erano lampade a olio, candele e il camino sempre acceso mentre, fuori, un porticato privo di parapetto, troneggiava sul prato sottostante, sprezzante di ogni ragionevole norma di basilare sicurezza.
Le giornate erano di un azzurro disarmante come solo in montagna se ne possono godere, tanto che il cielo pareva caderci addosso come un mare riverso sul mondo.
Le interminabili passeggiate lungo i sentieri erano la colonna vertebrale di quasi ogni giornata che, come sempre, iniziava con un'aria così fredda da gelare sul nascere ogni pensiero incautamente concepito.
Naturalmente, si rendeva necessario utilizzare l'acqua con estrema parsimonia, perciò capitava che, durante la giornata, Pier ed io ci recassimo di soppiatto come topolini, alla fontana esterna dell'alberghetto adiacente allo chalet per lavarci le mani; puntualmente, risuonava nella vallata la voce stridula della proprietaria volta a ricordarci la destinazione di acqua corrente e sapone ai clienti dell'albergo che, a differenza nostra, fruttavano ben più dell'acquisto di qualche confezione di caramelle Valda o pacchetto di arachidi salate.
La padrona era grassa, rubiconda e tirchia e, a memoria, direi che indossasse sempre, o spesso, qualcosa di rosso; chissà se è per questo motivo che vado poco d'accordo con il rosso; di fatto, però, si chiamava Rosa e il rosa mi piace, forse perché si trova nella gamma dei toni freddi, come il viola dei mirtilli. (Che strano a volte l'intersecarsi bizzarro delle situazioni della vita).
Ad ogni modo è curioso come nella mente di un bambino si possa insinuare l'dea che, l'atto normale di lavarsi le mani, possa celare un gesto passibile di rimprovero. Oltretutto, fin da piccoli, ci educano a farlo in maniera frequente e meticolosa ma si sa che, i grandi, quando ci si mettono, sono maestri nel confondere le idee così come nel contraddirsi.
Il rapporto con l'acqua era un elemento cardine delle nostre giornate: essa rappresentava un bene prezioso da centellinare, una possibile fonte di rimprovero, un diversivo nel momento in cui, la scarsità delle riserve, ci costringeva a scendere a valle per i rifornimenti. Una volta io e Pier, rimasti soli a casa, rimanemmo chiusi fuori; mi ricordo la sete e i tentativi di entrare dalla finestrella socchiusa del bagno. Non ricordo nemmeno come andò a finire ma mi rimarrà il dubbio sul fatto che Rosa ci avrebbe dissetati gratis...
Ricordo invece la volta in cui, gli adulti, dimenticarono di inserire le bottiglie di acqua tra i viveri per un pick-nick previsto nel bel mezzo del nulla più assoluto (intendo cielo, roccia, muschi e licheni a chilometri dalla civiltà) e le successive discussioni su cosa potesse essere più dannoso tra il farci morire disidratati o l'iniziarci all'alcolismo precoce; ecco, di quell'esperienza, ricordo la rabbia furente verso le loro risatine trattenute a stento e il disgusto per l'odore dell'alcol ma, tutto sommato, divertente lo fu per davvero.
Per quanto riguarda le serate, a volte venivano vivacizzate da alcuni bambini che sopraggiungevano assieme al sacerdote di una parrocchia giù a valle e ad alcuni animatori, che si sistemavano per una breve permanenza nei locali adiacenti alla chiesetta sul promontorio; il falò, un paio di chitarre, canzoncine demenziali da oratorio e il bailamme di un vociare indistinto di grandi e bambini, movimentavano le serate, rasentando il più alto concetto di vita mondana che si potesse immaginare in un microscopico centro di villeggiatura montano e sperduto.
In quelle occasioni, detestavo l'idea di salire alla chiesetta per via di Carla; Carla era una mia coetanea ed io evitavo in ogni modo lei ed i suoi lunghi riccioli neri perché era altera, prepotente, dispettosa, sicura di sé e mi terrorizzava. Però il prete era oggettivamente uno spasso: beveva più di un frequentatore di bettole e, quando ubriaco, straparlava più che da sobrio.
Comunque, l'andarci continuava a non piacermi, lo facevo solo se obbligata da mia madre, intenzionata a sanare le problematiche di una mia presunta patologica tendenza all'isolamento.
Mi piaceva solo stare con Pier o con sua sorella maggiore, quella che si era bruciata i capelli con il fuoco. Ciò che brucia può farti stare meglio o condizionarti la vita per sempre, questo lo sapevo.
È curioso come nella mente di un bambino possa insinuarsi l'idea che, bruciarsi i capelli con il fuoco del camino, possa essere la conseguenza di uno stato di ordinaria distrazione domestica di poco conto. Con il senno di poi, capii che non era poi così normale. Come tante altre cose, del resto.
Le giornate erano intense e ricordo il giorno in cui Pier mi prese perfino per mano, salendo lungo un sentiero scosceso. Pensai che sarebbe stato bello avere un fratello così.
C'erano le scivolate sull' erba, le corse, il giocare a nascondino nei tetri cunicoli di forte "Cima Ora", completamente in rovina, uno scenario spettale da film dell'orrore, a pensarci a distanza di anni ma, alla fin fine, di rischi ce n'erano pochi. Più pericolose erano le arrampicate sulle rocce vicino casa che concretizzavano il serio rischio di rompersi la testa e a confronto del quale, l'incontro con qualche piccola occasionale viperetta più spaurita di noi, era cosa da poco.
Ad un mezzo chilometro da casa c'era una giovane conifera che ci divertivamo a vessare per via della sua caratteristica forma a "collo di giraffa" che così bene si prestava alle nostre cavalcate contese. Qualche anno fa, sono tornata a trovare Collo di Giraffa, con il rossetto cangiante, il push-up, le treccine e gli shorts, per farle vedere che ero cresciuta ma non così tanto da non permetterle di riconoscermi; sinceramente mi deluse un pochino trovarla così tanto ingrassata ma alle signore certe cose non è opportuno farle notare, perciò le dissi ridendo:" ehi Collo di Giraffa, ti sei fatta grande e robusta nonostante le nostre angherie! Ora, volendo, ne porti quattro, di me..."
I colori in montagna sembrano sempre più puri: il verde, l'azzurro, il candore del latte del burro e dei formaggi nelle malghe..... una volta vidi una mosca che galleggiava nel paiolo del latte, perché le fiabe non sono mai perfette fino all'ultima goccia di sangue.
Stop. Fine del mio rapporto con i prodotti di malga. Mangiavo solo quelli inseriti nei piatti a titolo di ingrediente basilare ma storcendo il naso per tutto il tempo.
Solo i mirtilli selvatici non ti tradivano mai: erano piccoli tesori che comparivano all'improvviso nell'assoluto silenzio della vegetazione montana e riempivano gli occhi di una gioia istantanea e priva di compromessi.
E poi niente altro o forse moltissimo altro ma scavare nei ricordi richiede pazienza.
Il crocifisso di legno sulla collinetta a cui ci si appoggiava per fare la conta (quante scemenze subite da quel povero cristo di legno malamente intagliato), mio fratello e il fratello maggiore di Pier primi alla maratona sotto il diluvio universale, quel malgaro con la barba che credevo avesse ottant'anni mentre probabilmente raggiungeva a stento i trenta; poi i testi delle canzoni degli anni ottanta di cui non capivo bene il senso, i discorsi scomodi tra gli adulti che violavano la verginità della psiche così candida, le loro menate mentali che, a volte, parevano più cupe delle ombre sinistre che dilagano lungo gli argini al calare della sera.
Adoravo le estati in montagna e piangevo sempre di nascosto, quando sopraggiungeva l'ora di tornate a casa ma in breve tutto finiva, le giornate riprendevano il corso normale e, tornare a litigare con quella rompipalle ipocondriaca di mia cugina, non era poi così male, dopotutto, i bambini sono facili a convincersi che di normalità ne esista una sola e che sia inevitabilmente la loro.
Della vacanza rimaneva qualche macchia di erba, le lentiggini sul naso, scatoline di arachidi salate, di mirtilli più nemmeno l'ombra. Solo tracce in qualche tema per la scuola, sistematicamente criticato da mia madre.


Racconto e disegno di Nadia Rizzardi (Ganimede)