giovedì 8 gennaio 2015

Cuntu (racconto breve di zio-silen): «Silenzio a Ballarò»


Scruto lo schermo con frenesia mista a rabbia; i clic hanno la cadenza del vecchio Spelter da camino che, inclemente, sembra ripetere: «non c’è più! - ti ha lasciato! - è finita!... ». Il pensiero di perderla è intollerabile: il martellamento alle tempie si fa tormentoso; l'angoscia monta, come marea, dalle viscere alla gola; la bocca, ormai secca, si contorce in una smorfia oscena. Non oso lasciare quella sedia da elettrocuzione neanche per i bisogni fisiologici.
Alla ventunesima ora di infruttuosa immobilità comincio ad avvertire un formicolio che dalle mani si irradia al petto, poi alla testa. Ormai preda della sindrome ipocinetica sto per abbandonare, quando mi sembra di scorgere "tesoruccio" tra una pagina e l'altra. Non credo ai miei occhi: «allucinazione da vamping» penso.
Quell'immagine tuttavia si affaccia e scompare, poi torna - mille e mille volte -, forse nel ricordo: femminile, sensuale; moderna e classica al contempo: le linee armoniose sembrano nascere dalla mano di un disegnatore divino; ordinati filamenti d'argento si intrecciano al primo alito di vento; la pelle morbida e levigata profuma di nobili spezie d'oriente; un candore setoso veste l'intero corpo, tranne due minuscole zone ambrate su cui uso soffermarmi, talvolta per ore, con gesto padronale.
«E se non fosse un miraggio?» mi chiedo in un barlume di lucidità. Guido a ritroso il mouse lungo la strada virtuale che potrebbe condurmi all'amata...
«Eurekaaaaaa!!!», eccola lì: la riconoscerei all'istante tra mille altre, nonostante l'aria dimessa e due graffi che deturpano la splendida carrozzeria.
L'adrenalina mi fa recuperare le forze. Schizzo verso lo smartphone sul tavolo della cucina: «pronto Polizia? Non ci crederete... ho ritrovato la mia Graziella, o meglio la sua foto, su un sito di vendite online; tentano di cederla al miglior offerente come fosse un oggetto qualsiasi».
Il tramonto rosa - quello stesso giorno - accoglie la telefonata del Commissario Uriele Trovatore che mi invita a raggiungerlo, per il riconoscimento, a Ballarò, all'interno della cripta semidiroccata dei Frati Repentiti. Mi precipito, percorrendo - a piedi - i due chilometri di distanza in sette minuti netti.
Il celebre mercato palermitano - Bahlara dei dominatori saraceni nel decimo secolo - sussulta sotto i passi della massa multietnica che si aggira tra le "putìe". Mi faccio largo con rude cipiglio; raggiungo la Basilica arabo-normanna di Santo Spiridione; entro nella botola che si apre alla base della parete absidale esterna; scendo, a rotta di collo, i tredici gradini, e finalmente - commosso - posso stringere tra le braccia la mia cara... bicicletta.
Un poliziotto mi distoglie dal tenero abbraccio; prende in consegna il velocipede e lo porta via: «per i rilievi della Scientifica», spiega.

L'indomani, di buonora, un irresistibile richiamo (gli spiriti dei Frati Repentiti?) mi riporta in quel luogo dove, spinto da esoterico impulso compensativo, mi costringo ad un tour gastronomico lungo i vicoli basolati del piano della "medina" su cui insiste Baddarò - uno dei tre "suk" palermitani - colorato da bancarelle con "quarari", "maiddi" e "balate" colme di cibo da strada.

Al traguardo sento Urania (o Dionisio?) che mi prende per mano:

Lu ventu friscu scaccia li pinseri.
Scurdàti 'i turcigghiùni di l'ajeri
mi mettu a manciuniàri, a Baddarò.

Mennuli e ficusicchi (a sanfasò);
carrubbi, nuci (menzu cuppitèddu);
càlia, simènza (incu lu cappèddu);
Orlannu sta, alluccùtu, ntra lu scàcciu;
«e Ancelica, Rinaldu?». Nenti sacciu!

Scannaruzzàtu e mèusa, pì mia,
unni Caliddu fa casa e putìa.
E sutta l'occhi ri la "Cuncizioni"
'nu sfinciuneddu pì meditazioni.
Panelli fritti levanu l'affannu,
crocchè c''a rascatura prìu mi dannu.
Di frittula un muccùni; tri arancìni
e centumila ''quagghi'' fini fini.

«A tastu vinnu li muluna rrussi!!
Cu ciàvuru ri bianchi passa 'a tussi!!»
abbannìa 'u Zu Cecè, 'ntusu "Tinuri".
«Racina ruci!» ci arrispunni Turi.
Nn'agghiùttu 'na fiddùna arrifriddàta
e, pi' gradìri, 'nzuolia zuccarata.

S'abbùtta e si lamenta la me' panza
ma làriu è diri "no": mala crianza.
'U gnuri ca zuttìa mancu lu sentu:
cileppu 'nta la vucca; friscu 'u ventu.


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GLOSSARIO

Quaràri (o quadari): caldaie, pentoloni;
maìddi: cassettoni in legno senza coperchio;
balàti: lastre di marmo;
turcigghiùni: dolori di stomaco, spasmi;
manciuniàri: mangiare poco e in continuazione;
Baddarò: Ballarò, antichissimo mercato popolare palermitano;
mennuli: mandorle;
sanfasò: in modo disordinato;
carrubbi: carrube;
nuci (nuciddi): noccioline americane (arachidi);
cuppitèddu: piccolo cartoccio;
càlia: ceci tostati e salati;
simènza: semi di zucca rossa essiccati e salati;
Orlannu, Ancelica, Rinaldu: Paladini di Francia dipinti (solitamente ai lati di Santa Rosalia), con stile e tecnica usati per i carretti siciliani, su coloratissimi pannelli di legno che fungono da quinta (addobbata con bandierine tricolori, pennacchi, frange, festoni di carta ed abbaglianti luminarie) di un tavolato a gradoni e scomparti sui quali viene esposto - in forme coniche o piramidali - lo "scacciu" nelle sue varie componenti: càlia, simenza, nuciddi, mennuli, favi sicchi, carrubbi, pistacchi salati, cuzziteddi (castagne secche sgusciate) e talvolta luppìni (lupini a bagno nell'acqua salata);
alluccùtu: attonito, meravigliato;
scannaruzzàtu: pezzetti di cartilagine tracheale del maiale con cui viene ulteriormente condito "'u pani ca meusa";
mèusa: milza (e polmone) di vitello bollita, fatta raffreddare, poi soffritta nella sugna e servita in mezzo alla "vastedda" (panino morbido e rotondo); su richiesta, con una spolverata di caciocavallo grattugiato e/o ricotta fresca;
Caliddu: Calogero
putìa: bottega;
Cuncizioni: l'Immacolata della seicentesca Chiesa titolata alla Madonna del Carmine, che domina la piazza principale del mercato;
sfinciunèddu: sorta di pizza morbida, alta due dita, condita con salsa di pomodoro, cipolla tritata, pangrattato e, talvolta, formaggio;
panelli: focaccine sottili - quadrate o tonde - di farina di ceci, fritte e spolverate di sale;
crocchè (cazzilli): polpettine affusolate di patate setacciate, aromatizzate con erbe, passate nell'uovo, impanate e fritte in abbondante olio d'oliva;
rascatura: residui ipercotti di panelle e crocchè attaccati (a strati) alle padelle delle friggitorie, raschiati e venduti a poco prezzo a fine giornata;
prìu: gioia;
frittula: residui di carne da osso, cartilagini e grassetti bolliti ad alta temperatura, quindi torchiati in modo da sottrarre i liquidi e compressi in blocchi (tale procedimento assicura la conservazione del prodotto per lungo tempo). Il "frittularu" rende commestibile il composto tramite frittura nella "saimi" (strutto) e subitanea conservazione - in attesa del buongustaio dallo stomaco d'acciaio - in un panaru (cesto di vimini) coperto da un canovaccio che lo mantiene caldo. Viene prelevata immergendo, attraverso una piccola apertura, la mano nuda nella gustosa pietanza e servendola in fogli di carta oleata o come farcitura di panini caldi;
muccuni: boccone;
arancini: leccornia siciliana, con varianti provinciali, costituita da un impasto di riso lessato e aromatizzato allo zafferano - cuore di ragù di carne e piselli o mozzarella e prosciutto (nella versione tradizionale) - cui viene data forma sferica in modo che, in seguito alla frittura in abbondante olio d'oliva, che conferisce alla panatura croccante un colore dorato, ricordi un'arancia;
quagghi: melanzane incise in modo che dopo la frittura somiglino (con un po' di fantasia) alle quaglie (un tempo cibo per soli ricchi);
a tastu: con l'assaggio;
ciavuru: profumo;
abbannìa: magnifica a gran voce la merce in vendita;
racina: uva;
agghiùttu: ingoio;
fiddùna arrifriddàta: grande fetta servita gelata;
'nzuolia: uva con acini dorati, piccoli e dolcissimi;
s'abbùtta: si gonfia come una botte, si stanca;
làriu: brutto;
gnuri: cocchiere;
zuttìa: schiocca la frusta;
cileppu: sciroppo dolcissimo.



Racconto, versi e foto di Leo Sinzi

Si ricorda che la violazione del diritto d'autore (copyright) è perseguibile legalmente.

mercoledì 7 gennaio 2015

Cu rici nca lu carciri è galera...





Cu rici nca lu carciri è galera...

Ju Vittima: lu cori miu è galera.
Chianciu, mi sbattu oggi comu ajeri.

Macari 'u Re - omu ri sintimènti -
leva 'u parocchi, a latu si talìa,

lìbira, aràciu aràciu, i malamenti,
'ndùltu e amministìa 'ì runa a mia.


Versi e foto di Leo Sinzi (zio-silen)

Per ascoltare questa poesia declamata dal suo autore clicca:
https://www.youtube.com/watch?v=qZcYEldvuNU

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Chi dice che il carcere è galera...(Indulto e amnistia pure per me)

Io Vittima: il mio cuore è galera.
Piango, mi sbatto oggi come ieri.

Magari il Re - uomo di sentimenti -
leva il paraocchi, a lato guarda,

libera, piano piano i malamente
indulto e amnistia li dà a me.


(Dedicata alle vittime dei reati. Vittime dimenticate.)






Versi e foto Leo Sinzi


PER NON DIMENTICARE LA LINGUA SICILIANA



Si ricorda che la violazione del diritto d'autore (copyright) è perseguibile legalmente.