giovedì 19 novembre 2015

Cuntu: I Palermitani D.O.C. non insozzano l'amata


Padre Mansueto Arraggiato - omone di un metro e novanta abbondante, con una folta chioma corvina, ondeggiante sulla fronte, e gandi occhi cerulei così poco sicani e tanto, tanto normanni..., o forse svevi - scrutò i fedeli dall'alto del settecentesco ambone ligneo; schiarì la voce; rivolse lo sguardo alla cupola, magistralmente affrescata dal Borremans con il "Trionfo dei Santi Teatini", quindi tuonò: "Oggi voglio trattare di una piaga, non fisica ma altrettanto dolorosa...". Fece una pausa, per accertarsi di avere l'attenzione di gran parte degli astanti, poi continuò:
"Quanti, in questi giorni, si trovano a passare davanti la Chiesa di San Giuseppe dei Teatini, vengono colti da subitaneo raccapriccio nel prendere visione dell'opera devastatrice posta in essere da improvvisati graffitari nei confronti di un edificio che, oltre ad essere sacro per i fedeli, con le architetture di Paolo Amato ed il meraviglioso apparato decorativo barocco, rientra a buon diritto tra i gioielli più pregiati del patrimonio artistico della Città.
Gli autori dell'orrendo misfatto, armati di bombolette spray, hanno sfogato quello che sembra rancore contro Dio, i credenti, la cittadinanza tutta, gli amanti dell'arte, lasciando la loro indelebile traccia policroma lungo tutto il prospetto laterale della Chiesa apogea della Madonna della Provvidenza. Prospetto che la basilica sotterranea condivide con la sovrastante Chiesa di San Giuseppe di cui fu cripta.
Gli imbrattatori, nonostante il tenore delle scritte possa trarre in inganno il lettore ingenuo, nulla hanno da spartire con le vittime della "crisi" che quotidianamente manifestano il loro disagio: gli operai che difendono il lavoro; gli sfrattati alla disperata ricerca di un tetto; gli studenti che vedono compresso, spesso compromesso, il diritto allo studio da mortificanti selezioni (per censo?); i contadini che vorrebbero quantomeno sopravvivere, e non morire, con il poco che traggono dalla terra; gli ecologisti che desiderano un futuro per il pianeta e per i loro figli. Queste persone lottano civilmente - in grazia di Dio - per la loro vita e per quella delle loro famiglie e mai si sognerebbero di sporcare l'agorà cristiana, la sede dell'"Assemblea" e il patrimonio artistico-storico-monumentale che arreda e rende meravigliosa la città in cui vivono.
I writers, invece, non si sono limitati all'atto blasfemo nei confronti del Sacro Tempio, ma hanno sporcato la memoria di una Palermo artisticamente "felicissima"; 'ngrasciato la genialità; violentato l'arte; sfregiato la "bellezza" di quella che è anche la loro Casa...
Impegniamoci tutti affinchè lo scempio finisca.
I manifestanti approntino adeguate difese dei monumenti che i cortei incontrano nel loro passaggio; agli sporcaccioni, colti sul fatto, in tempo reale si offra una possibilità di "redenzione", magari donando loro solventi, stracci e spazzole.
Perchè i Palermitani D.O.C. - cristiani o altro - amano la loro città. E, si sa, chi ama davvero non insozza l'amata".
Il Geometra Lindo Calavò sussurrò alla moglie: "Federico II di Svevia, Stupor Mundi - il Re di Sicilia dagli occhi cerulei che amò l'arte tanto quanto il potere -, sarebbe orgoglioso di lui". E tracimando d'entusiasmo esclamò: "Siamo tutti Padre Arraggiato!!".
"Spero limitatamente all'omelia" commentò, sorniona, la Signora Concettina Scuieta in Calavò.

lunedì 8 giugno 2015

Fracchiàta ri trona

L'inquinamento acustico può essere una croce da portare.


Fracchiàta ri trona

Ru Celu 'na fracchiàta ri trona
- matìna,  menzujornu, puru 'a sira -
 gghiòrni, simanàti, misi e anni
a scùntu dibitùri ru piccàtu.
Murtàli? Sì, murtàli sarìa stata
a mê 'nfraziòni...
sinnò comu si spièca la Riaziòni?

Mê figghiu, r'innuccènti arìcchiu,
argùtu: «o patri, ma chi celu!?
chi piccatu!?
Ri ncùttu veni tòccu ri battàgghiu
supra cuticchi r'ossu macinàtu.
'Un'è scrùsciu 'i timpèsta né sirràgghiu
ma cruci c'â purtari... ntra 'stu bàgghiu».

Versi e foto di Leo Sinzi (zio-silen)

Per il sonoro di questa poesia (con piccole variazioni) declamata dall'autore clicca:
https://www.youtube.com/watch?v=FPL1ZqBe6HA&t=2s

VERSIONE PER I NON SICULI

Strapioggia di tuoni

Dal cielo fu strapioggia di tuoni
- mattina, mezzodì, anche la sera -
per giorni, settimane, mesi ed anni
a sconto debitore del peccato.
Mortale? Sì, mortale sarà stata
l'infrazione...
sennò come si spiega la Reazione?

Mio figlio, d'innocente orecchio,
arguto: «o padre, ma che cielo!?
che peccato!?
Da presso vien rintocco di battaglio
su ciottoloni d'osso macinato.
Non rugghio di procella né serraglio
ma croce da portare in questo baglio».


PER NON DIMENTICARE LA LINGUA SICILIANA

La raccolta, su YouTube, delle poesie in vernacolo di Leo Sinzi (zio-silen) si trova qui:

lunedì 6 aprile 2015

Murìu 'u cani




)
Era novembre... di sabato.
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 Murìu 'u cani

Oggi è un buon giorno, nato per gioire.

Il blu, dall'alto al basso, se la ride;
vibra sui monti, echeggia conversioni
di galli combattuti, torelli da corrida
sfiancati - nelle fabbriche: ovazioni.

Sì, veramente incredibile...

Fiere di gabbio corrono nei prati;
cavalli, scossi, d'ambio in autostrada.
Le greggi su, nei pascoli alpigiani
senza pastore, in un belìo lontano.

Da ricordare...

Trovieri e milf parlottano d'amore;
gran-bardi e gilf del vivere, a colori.
Le torri, tutte, a dindondar la piana
al grido banditore: "murìu 'u cani!"*

Bella, bella, bellissima giornata!.



Versi di Peppino Cinà aka Leo Sinzi




*A scanso di equivoci - mi preme chiarire che "Murìu 'u cani" è espressione ricorrente nello slang dei rioni popolari palermitani per esprimere, con efficace metafora, il concetto di evento inevitabile, senza rimedio (non necessariamente tragico); quasi mai riconducibile al mondo animale.


PER ASCOLTARE QUESTA POESIA, DECLAMATA DALL'AUTORE, NELLA VERSIONE SICULO-PALERMITANA, CLICCA: https://www.youtube.com/watch?v=-hBVq2egeoA




Si ricorda che la violazione del diritto d'autore (copyright) è perseguibile a norma di legge.




domenica 8 febbraio 2015

Mmèrnu



 Mmèrnu

Casuzza janca 'n pizzu a lu sbalancu:
'a turri, scampaniànnu, batti l'ura.
Scàvusu, giarnu, cercu cugnintùra.
S'appàgna, scavucìa lu Muncibeddu.

Chiòvu chiantàtu nta la cantunèra
firrìu comu 'na strùmmula pizziàta;
cumànnu nun ci sta, nè simanàta,
nta 'stu frivaru ru cinquantasei.

Piulìanu cicchitèddi nta l'agnùni
- lu nidu, 'nnivicàtu, s'acchiaccàu -
l'aluzzi stritti, 'a vucca sbarrachiàta:
'a cutri muddichèddi vurricàu.

Ntra la sacchètta 'bbrucia lu cutèddu:
tàgghiu pitittu, celu, fantasia;
'n terra cògghiu murtìdda e pampinèddi.
S'appàgna, scavucia lu Muncibeddu.

Versi di Leo Sinzi (zio-silen)

Per ascoltare questa poesia declamata dal suo autore clicca:
https://www.youtube.com/watch?v=CQE9iKjZTj4&t=22s


Inverno

Casetta bianca sull'orlo del baratro:
la torre, scampanando, batte l'ora.
Scalzo, smorto, cerco fortuna.
S'adombra, scalcia forte il Mongibello.

Chiodo piantato nella cantonata
giro come una trottola ferita;
non c'è lavoro, manca il pane,
in questo febbraio del cinquantasei.

Pulcini pigolano in un angolo
- il nido, innevato, è appeso a un filo -
l'ali serrrate, la bocca spalancata:
la coltre ha seppellito le mollichine.
 

Nella tasca brucia il coltello:
taglio fame, cielo, fantasia;
raccolgo da terra mortella e foglie.
S'adombra, scalcia forte il Mongibello.




Versi e foto di Leo Sinzi


PER NON DIMENTICARE LA LINGUA SICILIANA

 Si ricorda che la violazione del diritto d'autore (copyright) è perseguibile legalmente.

domenica 1 febbraio 2015

Rùmmulu



Rùmmulu

Scinnìu, santiannu, dalla sò muntagna;
li corna 'n testa, lu vastùni 'n pugnu:
«Iddi sunnu latrùna, ju nun lu sugnu;
corpu di sangu a 'sti magna magna!».
 

Lu 'ntisi Febu ca viri luntanu:
«mutu, carusu. Basta cugghiunàri!
Latri a lu suli e ntra negghia macàri.
Addisiàri lu mali nun è sanu,
 

porta raggia 'nto cori e ntra la menti,
spinna li ali a chiddi senza nasu,
mmarra paroli a cu parra vastàsu,
tagghia lu nerbu all'omini possenti».
 

Lu barbaru si misi 'u parrapìcca,
si livò l'elmu e puru li spuntùna,
iccò lu lignu e, nudu sutta 'a luna,
vagnò di lacrimuna 'a terra sicca.


Versi di Leo Sinzi (zio-silen)

Per ascoltare questa poesia declamata dal suo autore clicca:
https://www.youtube.com/watch?v=HqW6AVcvOvM&feature=youtu.be


Rumore

Scese, bestemmiando, dalla sua montagna;
le corna in testa, il bastone in pugno:
«Loro sono ladroni, io non lo sono;
morte colpisca questi magna magna!».
 

Lo sentì Febo che vede lontano:
«zitto, ragazzo. Basta coglionare!
I ladri al sole stanno ed anche nella nebbia.
Desiderare il male non è sano,
 

porta rabbia nel cuore e nella mente,
tarpa le ali a quelli senza naso,
toglie favella al querulo pacchiano,
consuma il nervo agli uomini possenti».
 

Il barbaro s'impose di tacere,
si tolse l'elmo e pure i pungiglioni,
buttò il legno e, nudo sotto la luna,
bagnò di lacrimoni la terra secca



Versi e foto di Leo Sinzi


PER NON DIMENTICARE LA LINGUA SICILIANA


Si ricorda che la violazione del diritto d'autore (copyright) è perseguibile legalmente.


giovedì 8 gennaio 2015

Cuntu (racconto breve di zio-silen): «Silenzio a Ballarò»


Scruto lo schermo con frenesia mista a rabbia; i clic hanno la cadenza del vecchio Spelter da camino che, inclemente, sembra ripetere: «non c’è più! - ti ha lasciato! - è finita!... ». Il pensiero di perderla è intollerabile: il martellamento alle tempie si fa tormentoso; l'angoscia monta, come marea, dalle viscere alla gola; la bocca, ormai secca, si contorce in una smorfia oscena. Non oso lasciare quella sedia da elettrocuzione neanche per i bisogni fisiologici.
Alla ventunesima ora di infruttuosa immobilità comincio ad avvertire un formicolio che dalle mani si irradia al petto, poi alla testa. Ormai preda della sindrome ipocinetica sto per abbandonare, quando mi sembra di scorgere "tesoruccio" tra una pagina e l'altra. Non credo ai miei occhi: «allucinazione da vamping» penso.
Quell'immagine tuttavia si affaccia e scompare, poi torna - mille e mille volte -, forse nel ricordo: femminile, sensuale; moderna e classica al contempo: le linee armoniose sembrano nascere dalla mano di un disegnatore divino; ordinati filamenti d'argento si intrecciano al primo alito di vento; la pelle morbida e levigata profuma di nobili spezie d'oriente; un candore setoso veste l'intero corpo, tranne due minuscole zone ambrate su cui uso soffermarmi, talvolta per ore, con gesto padronale.
«E se non fosse un miraggio?» mi chiedo in un barlume di lucidità. Guido a ritroso il mouse lungo la strada virtuale che potrebbe condurmi all'amata...
«Eurekaaaaaa!!!», eccola lì: la riconoscerei all'istante tra mille altre, nonostante l'aria dimessa e due graffi che deturpano la splendida carrozzeria.
L'adrenalina mi fa recuperare le forze. Schizzo verso lo smartphone sul tavolo della cucina: «pronto Polizia? Non ci crederete... ho ritrovato la mia Graziella, o meglio la sua foto, su un sito di vendite online; tentano di cederla al miglior offerente come fosse un oggetto qualsiasi».
Il tramonto rosa - quello stesso giorno - accoglie la telefonata del Commissario Uriele Trovatore che mi invita a raggiungerlo, per il riconoscimento, a Ballarò, all'interno della cripta semidiroccata dei Frati Repentiti. Mi precipito, percorrendo - a piedi - i due chilometri di distanza in sette minuti netti.
Il celebre mercato palermitano - Bahlara dei dominatori saraceni nel decimo secolo - sussulta sotto i passi della massa multietnica che si aggira tra le "putìe". Mi faccio largo con rude cipiglio; raggiungo la Basilica arabo-normanna di Santo Spiridione; entro nella botola che si apre alla base della parete absidale esterna; scendo, a rotta di collo, i tredici gradini, e finalmente - commosso - posso stringere tra le braccia la mia cara... bicicletta.
Un poliziotto mi distoglie dal tenero abbraccio; prende in consegna il velocipede e lo porta via: «per i rilievi della Scientifica», spiega.

L'indomani, di buonora, un irresistibile richiamo (gli spiriti dei Frati Repentiti?) mi riporta in quel luogo dove, spinto da esoterico impulso compensativo, mi costringo ad un tour gastronomico lungo i vicoli basolati del piano della "medina" su cui insiste Baddarò - uno dei tre "suk" palermitani - colorato da bancarelle con "quarari", "maiddi" e "balate" colme di cibo da strada.

Al traguardo sento Urania (o Dionisio?) che mi prende per mano:

Lu ventu friscu scaccia li pinseri.
Scurdàti 'i turcigghiùni di l'ajeri
mi mettu a manciuniàri, a Baddarò.

Mennuli e ficusicchi (a sanfasò);
carrubbi, nuci (menzu cuppitèddu);
càlia, simènza (incu lu cappèddu);
Orlannu sta, alluccùtu, ntra lu scàcciu;
«e Ancelica, Rinaldu?». Nenti sacciu!

Scannaruzzàtu e mèusa, pì mia,
unni Caliddu fa casa e putìa.
E sutta l'occhi ri la "Cuncizioni"
'nu sfinciuneddu pì meditazioni.
Panelli fritti levanu l'affannu,
crocchè c''a rascatura prìu mi dannu.
Di frittula un muccùni; tri arancìni
e centumila ''quagghi'' fini fini.

«A tastu vinnu li muluna rrussi!!
Cu ciàvuru ri bianchi passa 'a tussi!!»
abbannìa 'u Zu Cecè, 'ntusu "Tinuri".
«Racina ruci!» ci arrispunni Turi.
Nn'agghiùttu 'na fiddùna arrifriddàta
e, pi' gradìri, 'nzuolia zuccarata.

S'abbùtta e si lamenta la me' panza
ma làriu è diri "no": mala crianza.
'U gnuri ca zuttìa mancu lu sentu:
cileppu 'nta la vucca; friscu 'u ventu.


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GLOSSARIO

Quaràri (o quadari): caldaie, pentoloni;
maìddi: cassettoni in legno senza coperchio;
balàti: lastre di marmo;
turcigghiùni: dolori di stomaco, spasmi;
manciuniàri: mangiare poco e in continuazione;
Baddarò: Ballarò, antichissimo mercato popolare palermitano;
mennuli: mandorle;
sanfasò: in modo disordinato;
carrubbi: carrube;
nuci (nuciddi): noccioline americane (arachidi);
cuppitèddu: piccolo cartoccio;
càlia: ceci tostati e salati;
simènza: semi di zucca rossa essiccati e salati;
Orlannu, Ancelica, Rinaldu: Paladini di Francia dipinti (solitamente ai lati di Santa Rosalia), con stile e tecnica usati per i carretti siciliani, su coloratissimi pannelli di legno che fungono da quinta (addobbata con bandierine tricolori, pennacchi, frange, festoni di carta ed abbaglianti luminarie) di un tavolato a gradoni e scomparti sui quali viene esposto - in forme coniche o piramidali - lo "scacciu" nelle sue varie componenti: càlia, simenza, nuciddi, mennuli, favi sicchi, carrubbi, pistacchi salati, cuzziteddi (castagne secche sgusciate) e talvolta luppìni (lupini a bagno nell'acqua salata);
alluccùtu: attonito, meravigliato;
scannaruzzàtu: pezzetti di cartilagine tracheale del maiale con cui viene ulteriormente condito "'u pani ca meusa";
mèusa: milza (e polmone) di vitello bollita, fatta raffreddare, poi soffritta nella sugna e servita in mezzo alla "vastedda" (panino morbido e rotondo); su richiesta, con una spolverata di caciocavallo grattugiato e/o ricotta fresca;
Caliddu: Calogero
putìa: bottega;
Cuncizioni: l'Immacolata della seicentesca Chiesa titolata alla Madonna del Carmine, che domina la piazza principale del mercato;
sfinciunèddu: sorta di pizza morbida, alta due dita, condita con salsa di pomodoro, cipolla tritata, pangrattato e, talvolta, formaggio;
panelli: focaccine sottili - quadrate o tonde - di farina di ceci, fritte e spolverate di sale;
crocchè (cazzilli): polpettine affusolate di patate setacciate, aromatizzate con erbe, passate nell'uovo, impanate e fritte in abbondante olio d'oliva;
rascatura: residui ipercotti di panelle e crocchè attaccati (a strati) alle padelle delle friggitorie, raschiati e venduti a poco prezzo a fine giornata;
prìu: gioia;
frittula: residui di carne da osso, cartilagini e grassetti bolliti ad alta temperatura, quindi torchiati in modo da sottrarre i liquidi e compressi in blocchi (tale procedimento assicura la conservazione del prodotto per lungo tempo). Il "frittularu" rende commestibile il composto tramite frittura nella "saimi" (strutto) e subitanea conservazione - in attesa del buongustaio dallo stomaco d'acciaio - in un panaru (cesto di vimini) coperto da un canovaccio che lo mantiene caldo. Viene prelevata immergendo, attraverso una piccola apertura, la mano nuda nella gustosa pietanza e servendola in fogli di carta oleata o come farcitura di panini caldi;
muccuni: boccone;
arancini: leccornia siciliana, con varianti provinciali, costituita da un impasto di riso lessato e aromatizzato allo zafferano - cuore di ragù di carne e piselli o mozzarella e prosciutto (nella versione tradizionale) - cui viene data forma sferica in modo che, in seguito alla frittura in abbondante olio d'oliva, che conferisce alla panatura croccante un colore dorato, ricordi un'arancia;
quagghi: melanzane incise in modo che dopo la frittura somiglino (con un po' di fantasia) alle quaglie (un tempo cibo per soli ricchi);
a tastu: con l'assaggio;
ciavuru: profumo;
abbannìa: magnifica a gran voce la merce in vendita;
racina: uva;
agghiùttu: ingoio;
fiddùna arrifriddàta: grande fetta servita gelata;
'nzuolia: uva con acini dorati, piccoli e dolcissimi;
s'abbùtta: si gonfia come una botte, si stanca;
làriu: brutto;
gnuri: cocchiere;
zuttìa: schiocca la frusta;
cileppu: sciroppo dolcissimo.



Racconto, versi e foto di Leo Sinzi

Si ricorda che la violazione del diritto d'autore (copyright) è perseguibile legalmente.

mercoledì 7 gennaio 2015

Cu rici nca lu carciri è galera...





Cu rici nca lu carciri è galera...

Ju Vittima: lu cori miu è galera.
Chianciu, mi sbattu oggi comu ajeri.

Macari 'u Re - omu ri sintimènti -
leva 'u parocchi, a latu si talìa,

lìbira, aràciu aràciu, i malamenti,
'ndùltu e amministìa 'ì runa a mia.


Versi e foto di Leo Sinzi (zio-silen)

Per ascoltare questa poesia declamata dal suo autore clicca:
https://www.youtube.com/watch?v=qZcYEldvuNU

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Chi dice che il carcere è galera...(Indulto e amnistia pure per me)

Io Vittima: il mio cuore è galera.
Piango, mi sbatto oggi come ieri.

Magari il Re - uomo di sentimenti -
leva il paraocchi, a lato guarda,

libera, piano piano i malamente
indulto e amnistia li dà a me.


(Dedicata alle vittime dei reati. Vittime dimenticate.)






Versi e foto Leo Sinzi


PER NON DIMENTICARE LA LINGUA SICILIANA



Si ricorda che la violazione del diritto d'autore (copyright) è perseguibile legalmente.