domenica 6 luglio 2014

Cuntu: "Tasse d'attasso"



Mio padre buon’anima, prima di trapassare, pensò bene di redigere un testamento olografo con il quale destinò al sottoscritto la sua amata casetta tra i boschi di Ficunda: borgo medievale lambito da un rigagnolo che avrebbe mandato in sollucchero anche Palazzeschi. Mai avrei immaginato che quella leggiadra dimora dal tetto aguzzo circondata da un verde praticello con il passare dei giorni si sarebbe trasformata, come in un film degno del miglior Sam Raimi, in una terrificante bocca dalle labbra d’iroko: versione sicula, queste ultime, della porta di Rodin.

L’orrore comincia quando decido di affittare il bilocale ereditato.

Giacomino, il mio vicino di pianerottolo - soprannominato “Scibile” da alcuni compaesani e “Pallista” da altri - cui mi rivolgo per una “consulenza”, con grande sicumera mi consiglia di optare per il regime della “cedolare secca” strumento fiscale che, nonostante l’aggettivo, gronda, a suo dire, di enormi vantaggi per la categoria dei locatori.
Espletati gli adempimenti preliminari, mi godo per qualche mese le modeste entrate assicurate puntualmente dall’inquilino.

A giugno di quell’anno Giacomino, novello Marchese de Sade, nell’aggiornarmi sulle ultime imprese del suo Pit Bull Terrier, lascia cadere nel discorso due paroline: “scadenze fiscali”, che percorrono i miei neuroni con la potenza di una scarica elettrica da mille volts. Al primo attimo di sbandamento subentra una profonda angoscia che mi spinge a salutare frettolosamente l’interlocutore per catafottermi su internet alla ricerca di istruzioni. Le trovo sul sito della Compagnia dei Bianchi, benemerita Confraternita, che un tempo preparava spiritualmente i condannati alla forca. Così apprendo di dover partecipare ad una sorta di caccia al tesoro con una serie di prove da superare ed una miriade di indovinelli da risolvere. Premio finale: bollettino bordato oro fornito dalle Poste.

- Prima tappa con indovinello: scegliere tra le aliquote del 18% e del 21% valutandone i pro ed i contro. In entrambi i casi l’Imposta sarebbe stata partorita dal 100% del canone annuale.

A quel punto mi sento il "tesoro" in tasca: mi appresto a liquidare l’intero ammontare della tassa.

"Troppo facile!!" grida nella mia testa, con tono inclemente, l’organizzatore della caccia.

- Seconda tappa con calembour: versare un acconto. Non del 10, del 30 o magari del 50%, come se dovessi acquistare una volgare automobile: l’acconto della Cedolare ammonta al 95%.

Cerco di farmene una ragione, non riesco, m’inalbero.

Mi rassereno e cerco di versare quel 95% in unica soluzione. Vengo stoppato dal solito direttore dell’agenzia organizzatrice che mi ingiunge di ripartire il misterioso importo in due rate: la prima, da corrispondere a giugno, pari al 40% del 95%, la seconda, a novembre, pari al 60% del 95%.

Mi illudo di essere vicino al traguardo ma le nubi tempestose di un’ulteriore prova differita si profilano all’orizzonte: annoto a caratteri cubitali sull’agenda il saldo del 5% del 100% da versare a giugno dell’anno successivo (perché?! perché?!).

Fine caccia: arraffo il bollettino e mi precipito all’Ufficio postale.
Lo “Spicciafaccende” proprietario della pergamena con i turni quotidiani mi attribuisce, ghignando, il numero 378. Rinuncio per tre giorni di seguito, al quarto mi accollo una coda di 167 persone e, finalmente, verso l’imposta “sostitutiva” di altri balzelli sui quali è meglio non addentrarsi.

Mi rilasso leggendo sul sito del Club "Aedi variegati" i commentatori, nonché poeti, post-moderni.

Intanto si fa luglio dell’anno successivo.

Incontro nelle scale condominiali l’amico “Scibile” che come una sveglia ritardata comincia a squillare tutte le mie colpe di evasore fiscale. "Sì, è vero!" ammetto; "a giugno ho scordato di versare lo stramaledetto saldino del 5%".

Mi cospargo il capo di cenere e alle due del mattino mi piazzo innanzi all’Ufficio Tasse Imposte e Affini per presenziare al rito propiziatorio delle sette ore di fila.
Alle nove in punto, puntuale come un cronometro svizzero, l’usciere apre alla folla.
Me la cavo con qualche livido e la giacca a brandelli. Raggiante, riesco a raggiungere la stanza del funzionario preposto al “ravvedimento operoso”.
La gentile signora, impegnata al telefono, mi fa cenno di sedere. “Scusi un minutino” mi dice. Obbedisco mentre il sudore cola copioso lungo la schiena. Quarantanove primi e trentasette secondi dopo, la cortese impiegata sfodera un sorriso a settantadue denti e con voce suadente sussurra: “in che posso esserle utile”. Espongo la questione con dovizia di particolari e ricevo in cambio un foglietto sgualcito contenente la procedura da seguire ed un “buongiorno” che non ammette repliche.

Esco brandendo quel pizzino come un imperatore il suo scettro.

Leggo ed eseguo.

In soli cinque giorni riesco a compilare il modello prestampato nei cui cieli celesti inserisco:

l’imposta dimenticata;

gli interessi legali ottenuti, tramite calcolatrice ad energia atomica, in base ai diversi tassi legali sfornati dal giorno del misfatto a quello della remissione del peccato. Il tutto incrementato di addizionali varie e moltiplicato per i giorni decorsi;

la sanzione nella misura ridotta determinata da una sfilza di fortunate combinazioni previste dal legislatore (bontà sua).

L’approdo allo sportello postale reca l’ebbrezza di una festa dionisiaca, ma Bremont – Genio e protettore laico dei fiscalisti – con bizzarria tipica degli Esseri magici, ha in serbo l’ennesima beffa: la “macchina” rifiuta i codici indicati nel “pizzino”. L’addetto suggerisce di tornare alla “Sorgente” per abbeverarmi di nuove verità rivelate.

Mi sento frastornato: le tempie battono in controtempo con il cuore, i ginocchi urlano di dolore, le gambe s’ammollano. Chiamo al cellulare il “pallista” nella speranza che possa accompagnarmi al Pronto Soccorso. Arriva in un battibaleno. Lungo il tragitto trovo la forza per confidargli l’intenzione di donare la casetta genitoriale all’Ufficio Imposte Tasse e Affini: “se la sbrighino Loro” sentenzio. “No! Non lo fare!” grida allarmato Giacomino, “ti denuncerebbero per violenza privata”.



Cuntu di  Leo Sinzi

Ogni riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

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